La nostra esperienza ad Auschwitz-Birkenau

I nostri esperimenti di "grafica sociale" perché la grafica non può essere unicamente commerciale. Era l'estate 2007 quando visitammo il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau in Polonia. Da allora, ogni anno, in occasione della giornata della Memoria, il 27 gennaio, creiamo un manifesto "contro ogni forma di razzismo, di ieri, di oggi e di domani" che affiggiamo nelle pubbliche affissioni dei nostri paesi.
Questa è stata la nostra esperienza di quel luogo.

Ad oltre sessanta anni dagli orrori dell’olocausto decidiamo di metterci in viaggio, decidiamo di voler vedere quello che viene definito “orrore degli orrori”, decidiamo insomma di recarci in Polonia, ad Auschwitz, Oswiecim per i polacchi. Sappiamo quello che troveremo dopo aver letto libri e visto documentari, ma non sappiamo bene come reagiremo.
Si, è un viaggio nella memoria quello che decidiamo di intraprendere. Forse di questi viaggi, o attraverso i libri o direttamente, dovremmo farne tutti un po' di più: la memoria è quel sottile nastro magnetico che ci permetterebbe di non ripetere errori, anche banali, fatti magari il giorno prima, ma è inutile, siamo sbadati, concediamocelo.
L’arrivo ad Auschwitz è curioso. È estate, il tempo comunque è instabile, i colori della campagna sono vivi, “la natura ha trovato il suo modo di riscattarsi”, pensiamo.
Siamo infastiditi, lo ammettiamo, da un certo clima di gita scolastica che si avverte in giro per il campo. Ci sono molti studenti e turisti in visita. Paradossalmente ci rendiamo conto di essere noi i primi intolleranti in quel luogo. Ci ricomponiamo, la visita alle palazzine a due piani del primo campo – Auschwitz 1 – è pesante. Cumuli di valigie accatastate dietro le vetrate del museo testimoniano che veramente in quel luogo sono passate milioni di persone. Non reggiamo alla vista di un enorme ammasso di capelli che sarebbero dovuti diventare, nell’intenzione di qualche abile tessitore, fibra grezza da lavorare.
Usciamo a prendere aria, sopraffatti da un senso di soffocamento. I tanti visitatori causano il formarsi di lunghe file sulle rampe delle scale di quelle palazzine.
Finalmente aria fresca, riprendiamo il viale principale. Sentiamo una nenia venire da vicino, esattamente dal “muro della morte”, una parete riservata alle fucilazioni. Quei giovani che avevamo "contestato" al nostro arrivo, erano lì, in cerchio, in quel luogo intriso di dolore, che intonavano un canto ebraico.
Si trattava infatti di un gruppo di ragazzi israeliani in visita al campo. Ci commuoviamo. Non so perché ma, noi che dimentichiamo tutto, abbiamo vivo ogni passaggio di quella giornata.
In quell’istante una coccinella si posa sulla nostra maglia, l’abbiamo perfino fotografata. Il messaggio era chiaro: la vita è più forte della morte e di qualsiasi orrore che l’uomo possa essere in grado di commettere.
C’è poi la visita al vicino campo di Birkenau – Auschwitz 2. È quello tristemente famoso per la costruzione sormontata da una torretta sotto cui passavano i treni dei deportati.
Ora la scena cambia. Il verde dei campi predomina. Le baracche di mattoni qui sono in legno. Ne sono rimaste in realtà poche, e di quelle scomparse sono visibili solo le fondamenta. Ci si perde in quella distesa di ettari di verde curato. Non c’è più il caos delle comitive, a Birkenau si è più soli. Entriamo nelle baracche ancora conservate senza dire una parola, usciamo e continuiamo il percorso. Senza dire una parola.
Ci accompagna solo il silenzio, lungo quel binario del treno che segna il campo in tutta la sua lunghezza. Dei forni crematori restano le macerie, frutto di un tentativo poco riuscito di distruggere ogni prova prima della liberazione. Alcuni cippi neri in marmo sono posti in corrispondenza delle fosse comuni. Dopo qualche chilometro, in fondo al campo, troviamo l’edificio delle docce, anch’esso musealizzato.
Qui, le centinaia di fotografi e esposte, recuperate dagli effetti personali dei deportati sono un album della memoria triste e crudele.
Auschwitz è questo. È sconvolgente come ti obblighi a diventare, a tua volta, testimone di un orrore senza precedenti.